In attesa di capire meglio quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale, nel mondo del lavoro la più grande rivoluzione degli ultimi anni è stata l’avvento dello smartworking. Come noto si è arrivati all’introduzione di questo nuovo modello organizzativo non per la lungimiranza dei manager ma a causa del Covid.
A fine pandemia non sono mancati i conservatori che hanno provato a riportare indietro le lancette della storia, ma il modello ibrido (ovvero parte del lavoro in ufficio e parte a casa) è ormai lo standard per la stragrande maggioranza delle aziende. Solamente quelle che continuano a rimanere ferme al 1900 si ostinano a rifiutare lo smartworking o a utilizzarlo con il contagocce.
Una conferma che il nuovo modello organizzativo è ormai la norma arriva dagli Stati Uniti, dove cresce ogni giorno di più la lista degli amministratori delegati che accettano di guidare un’azienda solo se possono lavorare da remoto.
L’ultimo della lista è Brian Niccol che ha appena assunto l’incarico di guidare Starbucks, la più grande catena di caffetterie del mondo. Il top manager non ha pretesto solo uno stipendio a nove cifre (ben 113 milioni di dollari l’anno, quattro volte più del suo predecessore) ma anche la possibilità di lavorare in smartworking dalla sua tenuta nel sud della California. Dovrà recarsi nella sede dell’azienda, a Seattle, non più di 3 volte a settimana.
La richiesta di Niccol è stata accolta senza nessun problema dagli azionisti di Starbucks e dal mercato. L’unica cosa che davvero conta è rimettere a posto i conti dell’azienda. Come già detto Brian Niccol è solo l’ultimo della lista. Lavorano in smartworking anche i ceo di Boeing, di United Airlines, della catena di grandi magazzini JC Penney e del marchio di lingerie Victoria’s Secret.
E’ facile prevedere che l’elenco nei prossimi mesi è destinato ad allungarsi perché sono sempre di meno quelli che ancora non hanno capito che ciò che davvero conta è la performance e non il luogo di lavoro.