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Cambiare smartphone ogni 2-3 anni? L’Unione Europea si oppone e lancia la sua crociata

Bruxelles ha scelto la linea dura contro l’obsolescenza programmata dei dispositivi che rende i produttori più ricchi ma fa male all’ambiente e alle tasche dei cittadini

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
Cambiare smartphone ogni 2-3 anni? L’Unione Europea si oppone e lancia la sua crociata
Foto Ansa

L’Unione Europea ha dichiarato guerra all’obsolescenza programmata degli smartphone. Obiettivo dell’iniziativa è allungare la vita dei dispositivi ed impedire che i consumatori siano costretti a cambiarli in media ogni 2/3 anni. L'obsolescenza programmata è la strategia messa in campo dai produttori per limitare la durata degli smartphone, e più in generale dei dispositivi elettronici, e costringere dunque i consumatori a fare un nuovo acquisto.

Un trucco con 100 anni vita 

La pratica non è recente ma molto antica. Già nel 1924 la lobby dei principali produttori occidentali di lampadine fissò artificialmente un limite di 1000 ore alla durata di quelle a incandescenza in commercio. Nel tempo nessun dispositivo elettrico ed elettronico è stato risparmiato. Le tecniche impiegate sono note. Utilizzare materiali e componenti facilmente deteriorabili. Fissare costi elevati dei pezzi di ricambio e accorgimenti progettuali che rendono non conveniente la riparazione. 

Le "fregature" più recenti 

Un accorgimento progettuale utilizzato recentemente è l’integrazione delle batterie negli smartphone e nei computer portatili. Caratteristica che rende costosa la sostituzione del componente a più rapido degrado del dispositivo e che costringe alla sostituzione anche se non sono presenti altri difetti. L’evoluzione della tecnologia ha poi fornito ulteriori armi ai produttori legate all’aggiornamento continuo (e spesso inutile) dei software utilizzati. Codici sempre più pesanti che accelerano l’obsolescenza. 

L'obsolescenza percepita 

E come se tutto quello descritto sopra non bastasse l’industria da anni utilizza anche l’arma della pubblicità che puntualmente accompagna il lancio (ormai a getto continuo) dei nuovi modelli che appaiono più moderni e desiderabili, anche se le migliorie funzionali spesso e volentieri sono trascurabili. Gli esperti in questo caso parlano di obsolescenza percepita o simbolica.

Un vincitore e due perdenti 

E’ evidente che questa strategia commerciale ha un solo vincitore (i produttori) e due perdenti: i consumatori e l’ambiente. La follia del consumismo usa e getta poteva essere tollerato in passato ma di fronte all’emergenza ambientale, alla crisi energetica e all’impoverimento dei cittadini causato dall’inflazione, Bruxelles ha deciso di seguire la linea dura.

I benefici ambientali 

Secondo i calcoli dell’Unione Europea estendere il ciclo di vita degli smarpthone oltre gli attuali 2-3 anni permetterebbe di risparmiare emissioni per circa 10 milioni di tonnellate di C02 che equivarrebbe a togliere più o meno 5 milioni di auto dalla strada. Non solo. Se l'hardware degli smartphone fosse reso più riparabile e riciclabile si ridurrebbe di un terzo il consumo energetico associato alla loro produzione e si risolverebbero problemi enormi relativi allo smaltimento dei modelli obsoleti.

Le nuove regole da rispettare 

I tecnici europei hanno predisposto una bozza che fissa i nuovi paletti che i produttori devono rispettare per essere presenti nel mercato europeo. La nuova regolamentazione definitiva è attesa per la fine dell’anno. Le novità più rilevanti sono quasi scontate: gli smartphone dovranno essere riparabili, con batterie resistenti e dovranno avere indicazioni chiare sulla durata e sulla resistenza alle cadute. E ancora, i produttori dovranno affrontare requisiti rigorosi per fornire pezzi di ricambio e garantire una maggiore durata della batteria. Queste dovranno sopravvivere ad almeno 500 cariche complete senza deteriorarsi al di sotto sotto dell'83 per cento della loro capacità di carica. I telefoni dovranno infine avere un'etichetta di efficienza energetica e di resistenza agli urti.

Il precedente sui carica batteria 

La mossa di Bruxelles non è un fulmine a ciel sereno. Già lo scorso giugno la Commissione aveva introdotto l'obbligo per i produttori di elettronica di utilizzare carica batterie standard entro il 2024. Decisione anche in questo caso motivata dall’esigenza di tutelare l’ambiente e i consumatori.

La precedente richiesta del Parlamento europeo 

Teoricamente la strada dovrebbe essere in discesa ma come noto l’Unione Europea non brilla per velocità quando si tratta di difendere gli interessi dei cittadini. Il Parlamento europeo aveva chiesto regole più severe contro l’obsolescenza programmata già nel giugno del 2017. Da allora sono passati ben 5 anni.

L'esercito delle lobby 

A frenare le istituzioni europee ci pensa un esercito di lobbisti che sta assumendo dimensioni sempre più preoccupanti. Nel 2011 la Commissione europea ha attivato un registro per la trasparenza dove obbligatoriamente devono iscriversi le lobby che interagiscono cone le istituzioni comunitarie. A fine 2021 risultavano iscritte ben 13528 lobby, il 18% in più rispetti a 5 anni prima.

Il banco di prova 

La “crociata” contro l’obsolescenza programmata degli smartphone è un bel banco di prova per capire da che parte sta l’Unione Europea: affianco ai cittadini o ai produttori? Lo vedremo nei prossimi mesi quando entrerà in vigore la normativa definitiva.

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
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