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[Intervista] "Non è vero che l'Europa ha già perso il treno dell'intelligenza artificiale"

Tiscali News ha intervistato Emanuele Frontoni, uno dei massimi esperti italiani nel campo dell'IA

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
[Intervista] 'Vi spiego perché non è vero che l'Europa ha già perso il treno dell'intelligenza artificiale'
Emanuele Frontoni

L’informazione generalista italiana quando parla di intelligenza artificiale riporta principalmente notizie che arrivano dagli Stati Uniti o al massimo dalla Cina. L’Europa è praticamente assente. Il nostro continente sembra essere totalmente escluso da questa nuova tecnologia dirompente. La realtà delle cose è però diversa, come dimostra il progetto Villanova portato avanti da Tiscali (editore di questo giornale online) e da un vasto network di imprese e istituzioni accademiche italiane. Un progetto finanziato dall’Unione Europea e considerato strategico. Emanuele Frontoni, docente di informatica all’Università di Macerata e condirettore del laboratorio VRAI (vision robotics and artificial intelligence) è il direttore scientifico di Villanova. Lo abbiamo sentito per fare il punto sul progetto e sullo stato dell’arte dello sviluppo dell’IA in Europa.

Partiamo dal progetto Villanova, cosa è e quali sono gli obiettivi?
“E’ un progetto che punta sul tema dell’AI generativa componibile (composable) che darà alle imprese europee la capacità di comporre applicazioni che usano modelli di gen AI specialisti e dunque non generalisti, applicati a settori e lingue le più verticali possibili. Se volessimo dirlo in altri termini, Villanova è uno dei primi tentativi europei di specializzare modelli generalisti AI alla Chat GPT, per creare modelli multimodali che siano in grado di gestire testi ma anche dati, a supporto di chi vuole creare applicazioni facendolo nella maniera più self service possibile”.

Provo a tradurre per i non addetti ai lavori: l’obiettivo di Villanova non è creare un nuovo modello generalista che compete con quelli di OpenAI o Google ma creare modelli di intelligenza artificiale generativa specialistici, dunque più piccoli, che possono essere utilizzati direttamente dalle aziende per creare applicazioni digitali. 
“E' una semplificazione corretta". 

Cosa si intende per modelli specialistici? 
“In primo luogo specializzazione di linguaggio, dunque lingue diverse dall'inglese, e in secondo luogo specializzazioni settoriali, dunque modelli sviluppati appositamente per il settore della pubblica amministrazione, della sanità, del turismo, delle professioni legali e così via. E’ importante sottolineare una cosa: la specializzazione può riguardare non solo il settore ma anche singole attività all’interno di ciascun settore. Un modello generalista come ChatGPT può essere utilizzato per scrivere una lettera di invito a un evento, ma non può essere utilizzato per scrivere, per esempio, una delibera  di un ente della pubblica amministrazione italiana". 

Mi sembra dunque di capire che la specializzazione dell'intelligenza artificiale rappresenta una grande opportunità per le aziende italiane ed europee. 
“Corretto. Se ne parla ancora poco ma già oggi in Europa e anche in Italia, in particolare nei settori produttivi legati al made in Italy, esistono iniziative e realtà imprenditoriali estremamente interessanti”.

Perché per i grandi player come OpenAI o Google è più difficile dominare anche nel campo dell'intelligenza artificiale specialistica? 
“Il motivo è semplice. I modelli di business dei grandi gruppi americani si basano su micro pagamenti e dunque per essere sostenibili hanno bisogno di un numero di utenti molto grande. L’interesse da parte di questi gruppi per sviluppare un modello specializzato a supporto della PA italiana, giusto per fare un esempio, è molto improbabile”.

La specializzazione è l’unica carta che l’Europa può giocare nella battaglia dell’IA con Stati Uniti e Cina?
“Assolutamente no, possiamo essere leader sul tema dell’AI ethics perché questo non fa parte né della cultura americana, né di quella cinese. Lo scorso giugno sono stato prima a San Francisco e poi a Pechino. Appena arrivato a SF sono salito su un’automobile Waymo, ovvero i nuovi taxi senza pilota. Il giorno dopo ho incontrato l’amministratore delegato dell’azienda e gli ho fatto una domanda: non siete preoccupati delle conseguenze legali di eventuali incidenti? La sua risposta è stata spiazzante: quando avremo la prima vittima, vedremo cosa succede. Questo approccio non è tipico della nostra cultura europea”.

In Cina è invece andata meglio?
“Direi proprio di no. Io provengo dal mondo della visione artificiale e appena arrivato a Pechino sono stato colpito dalla presenza massiccia in strada di telecamere. Ho passato il primo giorno e mezzo a fare fotografie a telecamere di ogni tipo. Trattandosi di una visita di carattere scientifico non ero solo, ma scortato da personale dell’ambasciata. Ad un certo punto mi è stato gentilmente chiesto di smettere di fare fotografie. Anche da questo tipo di cultura noi europei siamo molti distanti. E’ vero che sui grandi modelli di intelligenza artificiale l’Europa è in ritardo, ma i grandi modelli che utilizzano dati privati senza dir nulla e in maniera impositiva nei confronti dei cittadini, non sono tipici della nostra cultura e non sarebbero mai accettati dal mercato europeo, che è molto più evoluto, da questo punto di vista, sia rispetto a quello cinese che a quello americano”.

ChatGPT ha raggiunto 1 milione di utenti attivi in appena due mesi dal lancio e punta ai 200 milioni. Chi utilizza regolarmente l’IA generativa è entusiasta. Alcuni denunciano che esiste un eccesso di fiducia nei confronti di questa tecnologia che porta a sottovalutare i rischi. E’ d’accordo con questa preoccupazione?
“Ci sono dei rischi però a mio avviso l’eccesso non è di fiducia ma di ignoranza e paura. Quello che vediamo oggi è timore rispetto a una tecnologia sopravvalutata. Anche se ChatGPT e tutti gli altri LLM ci stupiscono la realtà dei fatti è che sanno solamente scrivere testi in maniera credibile per un umano. Quell’algoritmo non è generalizzabile, non può essere utilizzato, per esempio, per guidare una macchina di Waymo a San Francesco. Al momento non abbiamo nessuna evidenza scientifica che sia possibile creare una intelligenza artificiale generale, ovvero capace di fare tutto quello che sa fare un uomo, e questo dovrebbe  tranquillizzarci”.

Altro argomento caldo e fonte di preoccupazione è l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro. Molti temono che questa nuova tecnologia dirompente cancellerà milioni di posti di lavoro. In questo caso sono paure fondate?
“Non c’è dubbio che il lavoro cambierà sensibilmente. L’AI aumenta la produttività e questo è visibile in primo luogo nel settore dello sviluppo software. Uno sviluppatore grazie all’intelligenza artificiale può essere fino a tre volte più produttivo. La domanda è: questo aumento di produttività causerà disoccupazione oppure consentirà di risolvere il gap delle competenze digitali? Molto probabilmente consentirà di risolvere il gap delle competenze e non ci saranno impatti sui livelli occupazionali, però è evidente che questo non accadrà in tutti i settori. In quelli in crisi, che non hanno grandi opportunità di crescita, la perdita di posti di lavoro potrebbe esserci. A mio avviso però è importante sottolineare una cosa: non sarà l’AI a rubare il lavoro alle persone, ma sarà chi impara a lavorare e a cooperare con l’intelligenza artificiale che toglierà il posto di lavoro a quelli che non lo sapranno fare". 

Maggiori informazioni sul progetto Villanova sono disponibili online all'indirizzo villanova.ai

 

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
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