PR e giornalismo, un rapporto da ricostruire. Una ricerca spiega come farlo

Nonostante le cattive abitudini e l'impreparazione generale, il 70,8% dei giornalisti considera fondamentale il ruolo dei PR. Una ricerca italiana svolta dagli esperti Simone Trebbi e Valentina Brini, che hanno coinvolto oltre cento dei principali professionisti dell'informazione, evidenzia gli errori più comuni e le dinamiche per fare public relations al meglio.

PR e giornalismo, un rapporto da ricostruire. Una ricerca spiega come farlo
TiscaliNews

Frammentato dall’innovazione tecnologica, dall’incremento dei flussi informativi e dalla necessità di una specializzazione sempre più profonda, il mondo della comunicazione non è mai stato così complesso.

Lo è doppiamente per esperti di public relations (PR), uffici stampa e comunicatori aziendali, accomunati da una missione molto delicata: rappresentare i brand sui media.

Se le testate presenti tra edicole, web, radio e televisione sono quasi 3500, i professionisti che le approcciano ogni giorno con proposte e comunicati stampa sfiorano quota 21mila.

Una sproporzione che, assieme a cattive abitudini e approcci improvvisati, ha reso il rapporto tra PR e giornalisti inefficace e poco produttivo.

Un tentativo per ricostruirlo è stato messo in atto da Valentina Brini e Simone Trebbi, esperti di digital PR e fondatori del progetto Le Royale PR.

Tramite la rubrica social “PRova a scrivermi”, che evidenzia già nel titolo la principale sfida che i comunicatori devono affrontare, hanno raccolto in poco più di due mesi le testimonianze di oltre cento tra le principali firme italiane.

L’obiettivo?

Creare un ponte tra i professionisti di pubbliche relazioni e i giornalisti, due figure di estrema importanza nell’attuale panorama informativo, indagando le rispettive abitudini e necessità con domande ad hoc. 

Trebbi e Brini, la cui ricerca è anche stata presentata durante un corso deontologico dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, spiegano a Tiscali che “l’esigenza di dover comunicare sempre e comunque ha creato nei PR una concezione distorta sul ruolo del giornalismo: che è, e sempre rimarrà, quello di riportare notizie, analizzarle e creare approfondimenti di impatto e interesse comuni.

La rubrica ‘PRova a scrivermi’ è nata proprio per interagire con i professionisti dei media, ascoltare come lavorano e capire come vogliono essere contattati dai PR”.

Dalla ricerca sono emersi dati sorprendenti.

Nonostante l’invadenza e la scarsa preparazione degli uffici stampa sia divenuta proverbiale nel mondo giornalistico, infatti, tutti gli intervistati hanno concordato su un aspetto ben preciso: i PR sono utili secondo il 29,2% dei giornalisti e addirittura fondamentali per il 70,8% del campione interpellato.

“In un’epoca di fake news e post-verità, ulteriormente aggravata dai rischi dell’intelligenza artificiale, questo risultato dimostra come a essere antiquato non sia il ruolo delle public relations, quanto piuttosto la modalità con cui vengono svolte”, commentano i fondatori del progetto Le Royale PR, che hanno chiesto ai professionisti di carta stampata, testate online, radiofoniche e televisive quali siano gli errori più comuni riscontrati

Si va dall’eccesso di autoreferenzialità e anglicismi (rispettivamente 3% e 6%) per arrivare alle tre problematiche principali: l’invio in massa di mail (12%), i recall o follow-up (27,2%) e, per più della metà dei giornalisti, comunicazioni fuori target che denotano una scarsa conoscenza del lavoro dei media.

“La scarsa conoscenza della testata a cui ci si rivolge, l’invio di mail a persone che non coprono la tematica proposta, l’autoreferenzialità, l’approccio tipico del marketing e le telefonate sono approcci errati evidenziati da tutti i giornalisti che hanno partecipato al progetto. 

Errori che, se ripetuti su base quotidiana come purtroppo avviene, vanno a detrimento dell’intera categoria e rischiano di minare un rapporto che può invece rivelarsi costruttivo e persino indispensabile per entrambe le parti”, spiegano Brini e Trebbi, che individuano nella personalizzazione estrema il futuro delle PR

Un cambio di mentalità, dati alla mano, reso necessario anche dalla mole di contatti quotidiani ricevuti.

Dalle risposte alla rubrica “PRova a scrivermi” emerge come solo un terzo dei singoli giornalisti riceva meno di cento mail al giorno, un numero comunque considerevole, mentre il 20,8% sfiora le 200, il 16,7% si assesta tra le 200 e le 500 e ben il 29,5% riceve oltre 500 comunicazioni al giorno.

“L’invio massivo di mail non è mai stata una soluzione – concludono i due esperti - ma oggi è addirittura un’azione suicida. 

Il futuro delle PR risiede nella personalizzazione estrema della comunicazione, cosa che presuppone una conoscenza del giornalista, della testata per cui lavora, delle sue esigenze specifiche e, non ultima, l’abilità di saper cucire ogni notizia su misura.

Un lavoro certamente non facile, ma indispensabile e che richiede grande professionalità: una qualità che, secondo l’esperienza di tutti giornalisti, è spesso mancata.

Anche in quest’ottica, per favorire una transizione che riabiliti il ruolo importante delle public relations, abbiamo in previsione la fondazione di una PR Academy dove il dialogo reciproco tra giornalisti e professionisti della comunicazione sarà più stretto che mai.

Crediamo fermamente che queste due realtà possano e debbano supportarsi a vicenda, mettendo al centro la notizia e collaborando negli interessi del lettore. 

Il nuovo modo di fare PR deve partire proprio da questa consapevolezza: i giornalisti raccontano notizie e storie di portata collettiva, e occorre quindi trovare una sintesi efficace tra le esigenze aziendali e quelle dei media, ponendosi in un’ottica di supporto come fonte autorevole.

Come dimostra la nostra ricerca, a volte è sufficiente chiedere e saper ascoltare”.