Il fondatore di Loquis: “La mia storia e i tre errori che devono evitare gli aspiranti imprenditori"
Tiscali News ha sentito Bruno Pellegrini, fondatore e ceo della prima piattaforma a livello mondiale di travel podcast

Bruno Pellegrini, 52 anni, romano, sposato con due figli, curriculum prestigioso alle spalle con studi alla Bocconi e all’Insead, esperienze professionali in Procter&Gamble e Bain Company, è oggi uno degli imprenditori digitali italiani più innovativi. La sua ultima creatura è Loquis, la prima piattaforma a livello mondiale di travel podcast. Al centro del suo progetto ci sono le storie. Lo abbiamo sentito per farci raccontare la sua.
Partiamo da Loquis: che cos’è e a chi si rivolge?
“È una piattaforma di podcast che dà voce alle storie dei luoghi di tutto il mondo. Si rivolge a viaggiatori curiosi, che non si accontentano di una foto ricordo, ma desiderano comprendere davvero ciò che li circonda. Perché un luogo, senza il suo racconto, perde significato e si riduce a pezzi di ferro e mattoni. La nostra missione è rendere la conoscenza accessibile a tutti, gratuitamente e nelle principali lingue.
Chi paga? Ovvero chi sono i clienti?
“Le istituzioni locali, gli assessori al turismo e alla cultura, che hanno la responsabilità di accogliere i visitatori condividendo con loro le storie uniche che caratterizzano il territorio. È un impegno che devono sia a chi arriva da fuori, sia alla comunità che rappresentano”.
Quando e come nasce l'idea di Loquis?
“Nasce nel 2012 durante un viaggio in macchina tra Cesena e Perugia riflettendo sul fatto che i piccoli paesi che incontravo lungo il percorso meritavano di essere raccontanti. L’azienda invece è stata fondata nel 2018”.
Hai un curriculum molto prestigioso. Come mai hai deciso di fare l’imprenditore e non invece il manager nel settore della consulenza professionale?
“Un po’ di incoscienza e la necessità di fare. L’esigenza di mettere in pratica quello che raccontavo ai clienti. L’impazienza di vedere se le idee che trasmettevo agli altri potevano funzionare davvero”.
Loquis è il tuo primo progetto imprenditoriale o hai avuto altre esperienze?
"Non è il primo progetto, ma nasce dopo diverse esperienze precedenti. Ho iniziato con una casa di produzione televisiva, perché volevo cambiare il modo di raccontare le storie. Successivamente ho creato una social media agency, per poi tornare alla TV con un canale dedicato agli immigrati e un network di video maker internazionali".
Tante esperienze diverse, qual è il filo conduttore che le unisce?
“L’obiettivo di creare qualcosa di originale, senza limitarsi a replicare in Italia modelli già esistenti negli Stati Uniti o in altri paesi. Anche Loquis nasce da un’idea originale. Ancora oggi, nel mondo, non esistono piattaforme simili".
Quali sono state le difficoltà che hai affrontato nel lancio del progetto?
“Convincere le persone”.
A fare cosa, esattamente?
“A darmi i soldi, a lavorare per me".
Quante persone lavorano in Loquis?
“Venticinque”.
“Quanto è costato il lancio della piattaforma?
“Tra i 3 e 4 milioni di euro”.
Qual è lo stato del progetto?
“Stiamo crescendo velocemente. Raddoppiamo il fatturato ogni anno. L’obiettivo per il 2025 è chiudere a 2 milioni. Abbiamo lanciato la piattaforma anche in Spagna e stiamo facendo degli accordi molto importanti con istituzioni ed editori che ci consentono di avere grande visibilità, perché tutto quello che abbiamo lo spendiamo nello sviluppo tecnologico della piattaforma e non abbiamo grandi risorse per il marketing, ovvero per grandi campagne pubblicitarie”.
Siete già in utile?
“Non ancora, contiamo di arrivarci in due anni”.
Fare impresa in Italia è più difficile che in altre nazioni?
“Per finanziarie il progetto ho raccolto 2,5 milioni di euro da un fondo di investimento italiano. Negli Stati Uniti avrei raccolto 25-30 milioni. Rispetto ad altri contesti la principale difficoltà di lanciare una startup in Italia è la raccolta di finanziamenti”.
Oltre a quella finanziaria ci sono altre difficoltà importanti da affrontare?
“In questo momento la nostra sfida principale è rendere il modello di business ancora più scalabile, ovvero velocizzare i tempi di chiusura degli accordi con istituzioni e imprese”.
L'intelligenza artificiale sta avendo un impatto dirompente nella comunicazione. La state già utilizzando?
"Sì, la utilizziamo per facilitare la ricerca dei contenuti da parte degli utenti, riscrivere le storie e generare i contenuti audio."
Mi sembra di capire che in fase di produzione ormai si fa tutto con l’IA. Cosa resta all’uomo?
“L’ideazione dei contenuti. I grandi narratori, quelli davvero bravi, non corrono però il rischio di essere sostituiti dall’intelligenza artificiale”.
Suggeriresti a un giovane italiano di fare l’imprenditore?
“Sì, ma solo dopo aver fatto un percorso professionale importante. Sono contrario all’idea di iniziare a fare gli startupper appena ventenni senza aver maturato esperienze d’impresa. Il rischio è quello di finire a fare un lavoro da freelance sottopagato”.
A tuo avviso qual è il percorso ideale?
“Maturare una esperienza professionale di almeno 5, 10, 15 anni e poi fare il grande passo. Perché fare l’imprenditore non significa solo fare il prodotto, ma anche gestire un’organizzazione, pagare gli stipendi, andare a parlare con le istituzioni e con le banche avendo la credibilità e la capacità di farlo”.
Ipotizzando di seguire questo percorso, quali sono gli errori che uno startupper dovrebbe poi evitare?
"Il primo aspetto è avere la giusta dimensione temporale, ovvero essere consapevoli che, spesso, per portare a termine un progetto serve il doppio, o anche il triplo, del tempo inizialmente previsto. Il secondo è dare la massima priorità alla ricerca delle risorse finanziarie e capire dove trovarle. Senza adeguate coperture finanziarie il progetto rischia di non sopravvivere a eventuali ritardi o errori”.