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Quitters Day: come creare abitudini di vita stabili grazie al biohacking

Indicato da una ricerca attorno a metà gennaio, il Quitters Day è il giorno in cui i buoni propositi di inizio anno vengono abbandonati. Stefano Santori ha spiegato a Tiscali come creare abitudini stabili ed efficaci grazie a strategie precise.

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Quitters Day: come creare abitudini di vita stabili grazie al biohacking

Forte di un grande significato simbolico, l’inizio del nuovo anno porta con sé rituali e tradizioni di origine spesso antichissime.

Quella dei buoni propositi, ad esempio, è dati alla mano la più diffusa al mondo: nata 4mila anni fa grazie agli antichi babilonesi, coinvolge oggi circa 3,2 miliardi di persone e abbraccia gli ambiti più eterogenei della nostra vita, dalla salute al lavoro alla sfera delle passioni personali.

Ma se il Capodanno è il periodo dei bilanci per eccellenza, esiste anche un punto di rottura che Strava, il social network dedicato agli atleti, stabilisce attorno a metà gennaio.

Il cosiddetto Quitters Day, infatti, è letteralmente il giorno di coloro che mollano e segna il momento esatto in cui la motivazione verso i buoni propositi vacilla prima e svanisce poi.

Sfide e difficoltà di varia natura sono solo alcune degli ostacoli che, statisticamente, vanificano il consolidarsi dei buoni propositi e quindi di buone abitudini.

Stefano Santori, biohacker e formatore

Secondo Stefano Santori, biohacker che lavora con atleti olimpionici e ha lavorato con brand come Ferrari, Poste Italiane, Enel e Maserati, “tendiamo a promettere a noi stessi e terze persone grandi cambiamenti, che si scontrano però con piccoli problemi che generano poi l’abbandono nell’arco di pochi giorni”.

Il principale dei problemi, secondo l’esperto, è innanzitutto la portata eccessiva e irrealistica delle modifiche che si vogliono apportare alla propria condizione personale o stile di vita.

“Sebbene romantico e sicuramente allettante, l’idea di cambiare tutto stravolgendo la propria esistenza dalle fondamenta è un approccio del tutto irrazionale.

Questo fascino – spiega Santori - è infatti contrario alla tendenza del nostro cervello, che è più antico, di rimanere aggrappato ai proprio equilibri e al proprio punto di settaggio.

Questa dinamica, in gergo tecnico, è conosciuta come resistenza omeostatica.

Paradossalmente ma non troppo, è molto più efficace creare un piano in cui non si inizia di getto ma in maniera graduale.

Un caso classico è quello dell’alimentazione. Prendersi cura della salute iniziando da ciò che mangiamo è indubbiamente un ottimo proposito, ma un cambiamento drastico si rivela quasi sempre più controproducente che altro.

Non bisognerebbe ad esempio giurare a sé stessi che da gennaio non si mangeranno più carboidrati o zuccheri, applicando di fatto uno stravolgimento di vita che diventa irrealistico prima e irreale dopo.

È invece molto meglio strutturare una pianificazione graduale all’interno della quale i mutamenti sono leggeri, graduali e appena percettibili.

Un piano giusto per non diventare una persona che molla, ad esempio, può essere stabilire che nelle prime settimane si attuerà solo un piccolo cambiamento in uno dei pasti.

Cambiare piccole cose che passano quasi in sordina, evita che si possa generare il blocco del cervello omeostatico”.

Un’altra strategia consiste nel partire con i cambiamenti più vicini a noi stessi, a ciò che siamo portati a essere o fare, anziché a ciò che è lontano.

“Ritornando all’esempio alimentare, che risulta spesso tra i più comprensibili ma è applicabile a qualsiasi ambito della produttività ed efficacia personale, se si è già portati a saltare la cena per mancanza di appetito, il digiuno intermittente per due sere a settimana rappresenta un’ottima modalità per farcela”.

Cambiamenti, quindi, sì vicini e graduali ma anche vicini alla zona di cambiamento istintivo e quasi di gradimento, dove c’è il punto di minor resistenza.

Anche il cosiddetto journaling, ovvero la costruzione di un diario di bordo della vita e dei cambiamenti, rappresenta una strategia estremamente efficace per introdurre e tracciare nuove (e vecchie) abitudini, come testimoniano i suoi utilizzatori, da Leonardo da Vinci all’imprenditore Richard Branson.

Il biohacker Stefano Santori spiega che “abbiamo bisogno di tenere traccia e vedere con i nostri occhi, scritti nero su bianco, i risultati positivi e negativi nostre azioni.

È di grande aiuto, dopo aver pianificato, usare app o diari fisici e cartacei e tracciare tutti gli aspetti e azioni al centro della nostra volontà di cambiamento.

Annotando e formalizzando i progressi, questi diventano concreti e vederli realizzati è un grande fattore motivante; il journaling diventa quindi una forma di gratificazione molto rilevante”.

L’ultima tecnica consigliata dall’esperto, affinché i buoni propositi possano tradursi in cambiamenti reali, consiste nel valutare i cambiamenti e tradurli in modo misurabile, anche nel viaggio intermedio.

“Non avere un piano d’azione scomponibile e misurabile è un errore tipico.

Uno dei buoni propositi più frequenti a gennaio riguarda la volontà di iscriversi in palestra per ottenere un bel fisico.

In questo caso, che è applicabile a mille altri, il problema è la vaghezza generale dell’approccio: che tipo di palestra? Quali esercizi? Con quali modalità? Quante volte a settimana? Cosa significa avere un bel fisico? Rispetto a cosa?

Tradurre i propositi in qualcosa di misurabile, passo passo e in modo graduale, è il solo modo per poter realizzare ciò che si desidera.

I dati che otterremo, qualsiasi sia la nuova abitudine che vogliamo introdurre, finiscono poi nel diario di bordo e garantiscono una visuale strategica panoramica e di ampio respiro per valutare i progressi o errori compiuti.

Entrando in questo principio di nuova routine di vita, diventerà sempre più facile ampliare e stabilizzare comportamenti virtuosi o desiderati. Nel caso contrario, grandi proclami senza strategia portano a grandi abbandoni e altrettanto grandi delusioni”.

In un concetto: il Quitters Day

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